GIG Economy, ecco i numeri del popolo del lavoretti “on demand”
Sono quasi 600 mila in Italia i forzati della GIG economy, ossia i lavoratori “on demand” che svolgono un’attività lavorativa nel nostro Paese per meno di 10 ore alla settimana.
I rider di Foodora e gli autisti di Uber sono gli esempi più lampanti dei lavoretti sottopagati che stanno proliferando negli ultimi anni, ma gli impieghi saltuari on demand saltuari sono in costante aumento e comprendono addetti al volantinaggio, baby-sitter, camerieri così come promoter in centri commerciali o steward in manifestazioni sportive o congressi.
L’Ufficio studi della CGIA elenca ben 27 tipi di lavori che si prestano a essere svolti saltuariamente e quindi a rientrare nella categoria GIG Economy e calcola che nel 2017 sono stati 592 mila gli addetti che hanno svolto un’attività lavorativa nel nostro Paese per meno di 10 ore alla settimana. Di questi, 389 mila hanno prestato servizio come dipendenti e gli altri 203 mila come lavoratori autonomi. Dal 2014 il numero di questi lavoratori è leggermente in calo sia a seguito della ripresa occupazionale sia della riforma dei voucher avvenuta l’anno scorso che ha “aumentato” il ricorso al lavoro irregolare.
Questi 592 mila addetti, argomenta la CGIA, sono persone impiegate in lavori saltuari: 2 su 3 sono donne occupate, principalmente, nei servizi alla persona, come domestiche, baby-sitter, badanti, o al servizio di attività legate alla cura della persona (parrucchiere, estetiste, centri benessere, etc.). Un altro comparto dove si concentra un’incidenza molto elevata di occupati saltuari è l’alberghiero-ristorazione e i servizi alle imprese. Rispetto al 2007, il numero complessivo dei lavoratori saltuari è aumentato del 20,3 per cento.
Gli over 65 sono i più numerosi: l’incidenza degli occupati con meno di 10 ore alla settimana sul totale dei lavoratori della stessa fascia demografica è pari al 6,9 per cento; seguono i giovani tra i 15 e i 24 anni (4,7 per cento).
“Questi dati – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – evidenziano che la cosiddetta gig economy, sebbene in forte espansione, alimenta un’ occupazione on demand ancora molto contenuta. Le opportunità offerte dai siti, dalle applicazioni e dalle piattaforme web, ad esempio, stanno riempendo le nostre strade di ciclo corrieri, ma i cosiddetti piccoli lavoretti sono ancora ad appannaggio di settori tradizionali, come i servizi alla persona, e in quelli dove è molto elevata la stagionalità. Ambiti, tra l’altro, dove la presenza degli stranieri è preponderante”.
Ritornando sempre ai dati, in valore assoluto la coorte che raggruppa il maggior numero di occupati complessivi è quella tra i 45-54 anni (quasi 7 milioni di persone).
L’area territoriale dove queste prestazioni occasionali sono più diffuse è il Centro: se a livello nazionale l’incidenza dei lavoratori saltuari sul totale degli occupati presenti in Italia è pari al 2,6 per cento, nel Centro la quota sale al 3 per cento.
In termini assoluti, invece, è il Mezzogiorno la ripartizione geografica che presenta il numero più elevato: degli 592 mila, 171 mila lavora al Sud, 148 mila sia al Centro sia a Nordovest e 125 mila a Nordest.
“Ovviamente – conclude il Segretario della CGIA Renato Mason – questi 592 mila lavoratori occasionali sono sottostimati. Sappiamo benissimo che questo settore presenta delle zone d’ombra molto estese, dove il sommerso la fa da padrone. Tuttavia, è interessante notare che queste occupazioni regolari sono ad appannaggio soprattutto di donne e pensionati e servono ad arrotondare le magre entrate familiari, soprattutto al Sud”.