Petrolio: navigare nella nuova era del mini barile
Il petrolio è entrato in una nuova era. Il cambiamento radicale è però avvenuto in tempi rapidissimi e le compagnie petrolifere sono alla ricerca di un nuovo modello per affrontare questa situazione. Il Wti, il benchmark di riferimento negli Stati Uniti, ha subito una discesa verticale: a luglio del 2014 i prezzi viaggiavano sopra quota 105 dollari al barile, mentre ora si attestano in area 45 dollari dopo aver violato al ribasso in agosto la soglia psicologica dei 40 dollari. Si tratta dei livelli più bassi da oltre sei anni, quando la crisi dei mutui subprime dall’America era dilagata nel resto del mondo.
Ma quali sono state le cause che hanno scatenato un crollo di tale portata? In primis bisogna ricordare l’eccesso di offerta presente sul mercato che ha scatenato previsioni ribassiste sul futuro dell’oro nero da parte delle principali case d’investimento. “Il surplus di offerta è maggiore rispetto alle nostre attese e ci aspettiamo che questo avanzo continui nel 2016 in scia del nuovo incremento della produzione Opec, di parte di quella non-Opec e della riduzione della domanda innescata dal rallentamento cinese e dal conseguente impatto negativo sugli altri Paesi emergenti”, spiegano gli analisti di Goldman Sachs in un report datato 11 settembre.
Andamento petrolio WTI nel periodo 25/09/09 – 25/09/15Gli esperti di Goldman, un tempo considerati i perma-bulls (tori permanenti) del comparto delle commodity, hanno snocciolato anche una previsione choc: “quota 20 dollari non rappresenta lo scenario base anche se la possibilità di una discesa a questi livelli continuano ad aumentare di pari passo con l’incremento degli stoccaggi”. Altri fattori destabilizzanti per il petrolio sono il rallentamento dell’economia cinese e l’allentamento delle sanzioni contro l’Iran, che dovrebbe aumentare ulteriormente l’offerta di petrolio.
“L’eliminazione delle sanzioni nei confronti dell’Iran potrebbe aggiungere 500-700 mila barili al giorno”, è il commento degli analisti di Morgan Stanley secondo cui il presupposto per scongiurare un altro scivolone del petrolio è che gli Stati Uniti rallentino la produzione “non convenzionale” per compensare la nuova produzione iraniana. Il boom dello shail oil americano è senza dubbio un fattore scatenante dell’eccesso di offerta presente sul mercato petrolifero: negli ultimi dieci anni, solo negli States, si è registrata una crescita produttiva pari al 75% della produzione di idrocarburi liquidi mondiale.
Claudio Descalzi, Ad di ENIIn questa cornice le principali compagnie petrolifere hanno fatto ricorso a strategie di riduzione dei costi e di ridimensionamento degli investimenti. “L’industria ha allocato gran parte dei propri capex sui piani ad alta intensità di capitale, perseguendo sviluppi di elevata complessità tecnica. Se consideriamo che, rispetto a questa tipologia di progetti, il breakeven può superare i 100 dollari al barile, ben si comprende la difficoltà di sostenere a lungo lo sforzo economico che ne deriva”, è l’analisi dell’Ad di Eni, Claudio Descalzi, contenuta nell’ultimo numero della rivista Oil.
Secondo Descalzi, l’unica soluzione percorribile per l’industria petrolifera è quella di recuperare profittabilità, incidendo sulla struttura dei costi, selezionando gli investimenti e ottimizzando la produzione e, ancor più efficacemente, sviluppando i bacini di esplorazione provati attraverso l’introduzione di nuove tecnologie che contribuiscano ad una riduzione della spesa e delle emissioni.
“Le compagnie dovranno sempre più orientarsi verso un ripristino della semplicità operativa, concentrandosi su asset convenzionali e gestendo direttamente i progetti di sviluppo attraverso un rigoroso controllo di ogni fase del processo. D’altro canto, anche i Paesi produttori dovranno inevitabilmente riconsiderare i propri modelli, rivedendo i contratti petroliferi in modo da allinearli alle condizioni attuali, riducendone rischi e costi”, si legge nell’articolo a firma dell’Ad di Eni, Claudio Descalzi.