India: è il paese del futuro?
Dopo il risultato delle recenti elezioni politiche che ha sancito la bocciatura del Congress Party in India, gli occhi del mondo sono puntati sul grande paese asiatico. Anche la comunità economica guarda con curiosità ad un momento di portata storica in quanto ha allontanato dal potere il il partito che dal 1947 aveva governato ininterrottamente il paese.
L’eminenza grigia del partito è stata in questi anni Sonia Gandhi, la vedova di Rajiv, quale ha trasformato il Premier Manmohan Singh in una figura di contorno, un leader puramente rappresentativo chiamato a ratificare decisioni prese da altri. Decisioni che però hanno presto rivelato il fiato corto, con esiti negativi sul piano economico, se si pensa che il tasso di crescita annuo del Pil è sceso sotto la soglia del 4% nel corso dell’ultimo anno. Un dato che diventa ancora più negativo se si confronta il prodotto interno pro capite indiano rispetto a quello cinese: quattromila dollari, ovvero la metà del secondo.
Risultati che hanno avuto il loro peso spingendo l’elettorato a premiare il Partito Bharatiya Janata (BJP) e il suo leader Narendra Modi, il quale ha incardinato la sua campagna elettorale proprio su una piattaforma incentrata su una rapida e impetuosa crescita occupazionale e di reddito. Promesse rese attendibili dai risultati ottenuti dallo stesso neo Primo Ministro nello Stato del Gujarat, negli anni precedenti.
La maggioranza assoluta ottenuta dal partito del premier in Parlamento è un risultato che non ha precedenti e che consente perciò a Modi di governare con una solida base e senza dover scendere a compromessi in grado di sfiancarlo, a differenza di quanto doveva fare il Congress Party con partiti regionali o nazionali.
Nel tentativo di rilanciare in maniera decisa l’economia, il Premier sarà affiancato da due figure di spicco. La prima sarà Arun Jaitley, chiamato a reggere il dicastero delle Finanze, ampiamente noto come intellettuale atipico e apertamente simpatizzante per il mondo della finanza.
La seconda figura forte che affiancherà il nuovo esecutivo è quella di Raghuram Rajan, il governatore della Banca centrale indiana, confermato nel ruolo già ricoperto in precedenza. Economista molto stimato ha già confermato la sua intenzione di ridurre un tasso di inflazione pericolosamente vicino alla doppia cifra.
Naturalmente per attuare provvedimenti incisivi e vederne i risultati sugli indici economici saranno necessari anni considerata una situazione che vede problemi molto pesanti. Basti pensare che solo il 60% della popolazione è in grado di leggere o scrivere a livello di base, con ovvia mancanza di figure professionali necessarie ad assicurare uno sviluppo autonomo. Anche le infrastrutture sono largamente carenti e la mancanza di porti e strade adeguati sono un freno alla spedizione delle merci prodotte. Mentre la privatizzazione di aziende statali che lavorano in maniera spesso non all’altezza delle esigenze dei consumatori potrebbe dare una spinta decisiva per la crescita economica. La presenza statale si avverte in maniera molto sensibile anche nel campo energetico, con sussidi che generano sprechi e ulteriore deficit statale. Tra gli altri freni allo sviluppo non va poi dimenticata una corruzione endemica, che danneggia sensibilmente il paese non solo da un punto di vista economico, ma anche morale.
Il nuovo governo è quindi chiamato a risolvere questi problemi, se vuole veramente avviarsi nella strada tracciata da Modi.