Coldiretti: Allarme consumi, importiamo cibi avvelenati, ecco la lista dei cibi pericolosi.
La tabella parla chiaro: nelle prime dieci posizioni si va da un minimo del dieci per cento ad un massimo incredibile del sessantuno e mezzo per cento. Il vincitore di questa classifica non proprio onorevole è risultato il peperoncino importato dal Vietnam, che con più di tre campioni su cinque trovati irregolari, stacca di un bel venti per cento la seconda classificata, la melagrana turca. Sembrerebbe un divertente trattato di geopolitica ortofrutticola se non fosse che stiamo parlando di residui chimici presenti negli alimenti importati nel nostro paese. L’allarme lo ha lanciato la Coldiretti che ha presentato uno studio sulle abitudini alimentari implementate dalla crisi economica.
ll quadro che ne emerge è cupo. Dall’inizio della crisi economica l’Italia ha aumentato di oltre il venti per cento l’importazione di prodotti alimentari dall’estero. La maggior parte di questi sono prodotti di basso prezzo e bassa qualità, ma anche veri e propri surrogati ed equivalenti artificiali. In moltissimi di questi prodotti sono stati riscontrati dall’organismo di controllo europeo livelli preoccupanti, per tipo, quantità e frequenza, di residui chimici. Per il solo peperoncino vietnamita parliamo di 274 mila chili importati lo scorso anno, ed utilizzati nelle preparazioni dal gusto piccante, come sughi e salse. Per le lenticchie di produzione turca, risultate contaminate in quasi un caso su quattro, l’import 2013 ha superato il milione e mezzo di chili. La lista prosegue con altri prodotti di larghissimo consumo, ad esempio il thé cinese il cui import nei primi mesi di quest’anno ha compiuto un balzo incredibile del 1.100%, e risultato irregolare nel quindici per cento dei casi. Oppure il riso indiano, uno dei prodotti maggiormente importati in Italia con 38 milioni e mezzo di chili lo scorso anno, e risultato fuori regola nel tredici per cento dei casi. Ma in questa classifica non entrano solo prodotti di paesi esotici e magari considerati ad alto rischio. Troviamo per esempio i cachi importati da Israele, risultati irregolari in quasi l’undici per cento dei casi.
Numeri che appaiono giustamente enormi rispetto alla media di irregolarità riscontrate nei prodotti agricoli dell’Unione Europea, che si attesta ad un dignitoso uno e sei percento, ma ancor di più se raffrontati alla media riscontrata nei prodotti agroalimentari made in Italy, che superano i limiti di legge solo nello 0,2 percento dei casi.
Dati allarmanti che ci invitano a riflettere su ciò che finisce sulle nostre tavole e soprattutto su quelle di coloro che, a causa delle difficoltà economiche, non possono fare altro che puntare al massimo risparmio, a discapito della qualità.
Lo studio ha riaperto anche l’annosa questione della segretezza dei dati sui flussi di materie prime importate nel nostro paese. L’assurdità di tenere segreti i nomi delle aziende che importano materie prime dall’estero per poi venderle trasformate, e a caro prezzo, come made in Italy si scontra con la richiesta di trasparenza e informazioni da parte dei consumatori, e danneggia oltre a questi anche l’intero settore agroalimentare, uno dei fiori all’occhiello del nostro paese.
Uno spiraglio sembra però aprirsi dopo anni di battaglie portate avanti soprattutto dalla Coldiretti, con l’annuncio del Ministro della salute di voler rendere pubblici al più presto i dati sui flussi di importazione agroalimentari.