News dall’Ucraina? Ma qual è la storia di questo conflitto con la Russia?

Scritto il alle 15:00 da Redazione Finanza.com

Ucraina orientale come la penisola balcanica? Il paragone appare tutt’altro che azzardato, alla luce di una guerra civile che ormai da mesi insanguina la penisola di Crimea e le regioni limitrofe dell’ex repubblica sovietica.

Con l’Unione Europea, accoppiata franco-tedesca in primis, che cerca in ogni modo di mediare per una pace duratura, la situazione è sempre più tesa e non trascorre giorno, ormai, senza che si sia costretti a emettere un nuovo bollettino di guerra. Il come e perchè si sia giunti fino a questo punto non è una domanda di facile risposta. I primi episodi di malcontento si verificano alla fine di novembre del 2013, quando l’allora presidente ucraino Viktor Janukovych rifiuta l’accordo con l’Europa per la creazione di uno spazio commerciale privilegiato tra le due aree del continente, dando invece il suo assenso a un prestito di 15 miliardi di euro da parte della Russia. In varie piazze del Paese, tra cui Piazza Maidan a Kiev, si scatenano accese manifestazioni di protesta contro la decisione del governo Janukovych e a favore di un avvicinamento dell’Ucraina all’UE. Si assiste a una prima escalation degli scontri, con la polizia ucraina che contrasta con violenza i manifestanti, capeggiati fra gli altri dall’ex presidente ucraino Julia Tymoschenko e l’ex campione dei pesi massimi Vitali Klitschko. La lotta si espande ulteriormente nei mesi successivi, con l’intervento di gruppi paramilitari locali anti-Janukovych come l’organizzazione neofascista “Praviy Sektor”, finchè alla fine di febbraio del 2014 lo stesso presidente Janukovych decide di dimettersi rifugiandosi in Russia. Quella che poteva essere la fine del conflitto, diventa invece l’inizio di una seconda fase ancor più cruenta. La penisola di Crimea, a grande maggioranza russofona, decide di non riconoscere il nuovo assetto governativo della repubblica ucraina, targato Poroshenko e Jaceniuk, e lo scontro tra esercito ucraino e filorussi culmina in un referendum popolare su un’eventuale separazione della Crimea dall’Ucraina, con conseguente annessione alla Russia. Il 97% si mostra favorevole, nonostante permangano dubbi sulla legittimità del referendum.

Da quel momento è il caos. Nelle settimane successive altre regioni sud-orientali a maggioranza russofona, incoraggiate dai fatti di Crimea, si organizzano in eterogenee milizie popolari prendendo il controllo di città nevralgiche come Odessa, Luhansk, Kramatorsk e soprattutto Donetsk e proclamando la nascita di repubbliche filorusse indipendenti. Il governo ucraino scatena una serie di controffensive con alterni risultati, attorno alle città principali e ad altre come Mariupol. Tra periodi più sanguinosi e tregue estremamente esili (e spesso molto brevi) la Russia, dapprima ufficiosamente, decide di intervenire in maniera più attiva inviando rifornimenti, squadroni di paracadutisti e mezzi blindati per proteggere coloro che il Cremlino considera ormai da tempo propri cittadini.

La reazione dell’Occidente è, almeno per ora, nelle sanzioni irrogate al Paese negli ultimi mesi. È innegabile che la Crimea rappresenti per la Russia un centro di potere e di influenza, oltre ad un importante polo economico e militare. Se da una parte si diffonde il sospetto di interessi occidentali in una vittoria finale del governo ucraino, dall’altra è innegabile che numerose regioni sud-orientali del Paese siano abitate da una forte maggioranza di russofoni, in buona parte discendenti dei “trapiantati” russi dell’epoca staliniana o pre-staliniana. Il porto di Sebastopoli in Crimea, inoltre, rappresenta per la marina russa uno sbocco fondamentale, assolutamente non rimpiazzabile a meno di ingenti investimenti di tempo e denaro che adeguino le strutture di altri porti come quello di Novorossiysk. L’International Herald Tribune sottolinea inoltre come l’annessione della Crimea abbia prodotto un ulteriore doppio guadagno per l’orso russo: ampi giacimenti petroliferi nel Mar Nero, e la possibilità di modificare il percorso del gasdotto in progettazione South Stream, facendolo passare proprio nel Mar Nero in maniera molto più efficiente ed economica. L’entourage di Putin minimizza, ma se più indizi formano una prova, la possibilità che la Russia difenda i suoi “nuovi” territori con le unghie e con i denti è più che fondata

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